«di vino si coronarono i crateri, ne distribuirono a tutti, versandolo in coppe a libare»
Il vino, in Maremma, ha forgiato storia del territorio. E' una vera e propria cultura, le cui radici si perdono in un tempo remoto, ancora prima dell'imponente colonizzazione da parte degli etruschi e dei romani. A partire dalla media età del Bronzo, a metà del II millennio a.C., in molti abitati dell'Italia centrale, il consumo di vino è attestato dal ritrovamento di vinaccioli di vite selvatica e di semi di vite domestica, il che fa presupporre che, già in quell'epoca, si iniziavano i primi tentativi di coltivazione della vite, pratica che si diffonderà a partire dalla fine dell'età del Bronzo e durante l'età del Ferro.
In questo primo periodo, gli Etruschi sfruttarono la naturale associazione della vite silvestre "le lambruscaie" alle piante dell'ambiente boschivo, le cui produzioni erano però scarse e di qualità non elevata. Ma già nella fase "Numana", dalla seconda metà dell'VIII, questa popolazione attivò un processo di normalizzazione delle tecniche viticole coltivando la vite silvestre ai margini dei boschi e operando selezioni, con un affinamento della tecnica che si protrarrà, in costante miglioramento, fino e oltre la seconda metà del IV secolo a.C.
Ma è con l'incontro tra il popolo etrusco e il mondo greco che l'uso del vino diventa, nel nostro territorio, una pratica diffusa, alimentare e commerciale. Nei corredi depositati nel corso dell'VIII e poi del VII secolo a.C. nelle necropoli etrusche, nel pieno dell'età orientalizzante, è documentata proprio in corrispondenza dell'acquisita continuità dei contatti con il mondo greco, l'introduzione nella società aristocratica etrusca del rituale «omerico» del simposio. Il consumo del vino, probabilmente regolato da precise norme come in Grecia, assume così il valore di un consumo privilegiato, esclusivo e quasi divino, appannaggio, come in Grecia, delle famiglie aristocratiche, e , insieme alla musica, divenne un elemento fondamentale dei riti religiosi.
In questo periodo, con lo sviluppo del popolamento rurale, le campagne furono riorganizzate, le tecniche vitivinicole specializzate e il commercio di vino raggiungerà molte aree del mediterraneo occidentale, fino alle terre dei Celti, per poi diffondersi in maniera massiccia all'epoca dell'Impero Romano.
E settembre, già a partire dall'età carolingia, è il mese della vendemmia. Il tempo della vendemmia, riportata nelle fonti medievali era il tempo dell'uomo, del suo lavoro, del suo sostentamento, della sua cultura.
Durante tutto il periodo medievale furono gli ordini dei monaci che mantennero e svilupparono l'antica sapienza. Nei monasteri medievali, con differenze fra ordini, luoghi e periodi, il vino, oltre ad essere normalmente utilizzato nella funzione eucaristica, consumato quotidianamente, pur con moderazione e spesso diluito con acqua, aromatizzato. Era permesso per rinvigorire i malati, elargito come ricompensa di lavori pesanti, aumentato a visitatori e ospiti. Era talvolta proibito, per evitare pulsioni notturne, oppure negato per punizione, usato per lavare l'altare, per sciacquare la bocca dei moribondi, e lavare il corpo, già sciacquato con acqua, dei defunti prima di ungerlo.
Era un bene cui girava intorno un mondo, dal potere inebriante che lo rendeva è adatto a varie forme di consumo sociale: è questa storia che si ripercuote con vigore nell'attuale cultura vitivinicola, capace di ancorare prodotti di nota qualità ad una tradizione e ad un passato che gli ha dato forma e sostanza.
Bibliografia:
- Atti del convegno internazionale di studi "Archeologia della vite e del Vino in Etruria" a cura di Andrea Ciacci, Paola Rendini e Andrea Zifferero - Edizioni CI.VIN.
- Archeologia della produzione e dei sapori. Nuovi percorsi di ricerca in Etruria, a cura di Ciacci-Zifferero, Siena
Questo testo è un'opera originale a cura di Elisabetta Tollapi
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